6 giugno ’44 – 6 giugno ’24: 80 anni dall’evento che cambiò le sorti della guerra, il D-DAY

Il 6 giugno 2024 ricorrono 80 anni dallo Sbarco alleato in Normandia, noto anche come D-Day, evento che ha dato una svolta all’esito del secondo conflitto mondiale in Europa. L’operazione, nome in codice “Overload” ha richiesto mesi di preparazione con un coordinamento incredibile che ha coinvolto i vari comandi alleati e una moltitudine di reparti delle varie Forze Armate (Navy, Army, Air Force) e delle varie articolazioni militari e civili (intelligence, logistica, trasporti, comunicazione, genio, reparti di assalto e…meteo). Tutta l’operazione era a un passo dal fallimento e la decisione del generale Eisenhower, nick name “Ike” è stata una delle più difficili da prendere nel secondo conflitto mondiale e l’ha presa fidandosi delle previsioni del tempo di un meteorologo Met Office inglese, l’unico che dava margini di un miglioramento temporaneo in una situazione meteorologica complessa. ma descriviamo brevemente cosa accadde.

il 5 giugno 1944 sullo stretto della Manica, la pioggia cadeva incessante da un cielo coperto da nubi scure, venti di burrasca spingevano grosse onde sulle spiagge della Normandia. I tedeschi si aspettavano l’invasione e sapevano quali fossero i periodi ideali per la marea ma quelle non erano certo condizioni meteorologiche ottimali, anzi li mettevano in una posizione di tranquillità, non c’era nulla che faceva presagire quello che invece sarebbe accaduto in poche ore. Sul fronte opposto si era in una situazione di “stand by” in un’area del “Channel” ben definita, dove un innumerevole numero di navi era in attesa di un ordine “Go or NO GO”! E Gli spazi di manovra delle navi erano esegui e ciò era già un pericolo. a bordo 200.000 uomini, circa in balia di un mare agitato. perchè l’operazione avesse successo era necessario conciliare diverse esigenze: luce lunare adeguata nelle ore notturne necessaria per l’aviosbarco tramite alianti, marea ridotta per almeno 40 minuti alle prime luci dell’alba sia perchè i mezzi da sbarco e uomini non si fermassero troppo distanti dalla costa, rendendo l’avanzata più faticosa e soprattutto rimanendo esposti per molto tempo al fuoco nemico senza alcuna protezione, sia perchè il reparto “guastatori avesse tempo e luce sufficienti per distruggere gli ostacoli difensivi, per lo più minati, che sarebbero emersi dalle acque. Inoltre, erano necessarie 3 basse maree nello spazio di 18 ore per poter sbarcare in quel limitato periodo 200.000 uomini e 20.000 mezzi. queste condizioni si sarebbero verificate congiuntamente solo nei periodi 5-7 giugno e 19-21 giugno e Eisenhover optò per la prima settimana, per avere nel caso poi disponibile una seconda possibilità. oltre alle condizioni di luce e di maree si dovevano avere condizioni meteo ottimali: venti non oltre i 10 Kts, base della copertura nuvolosa oltre i 1000 mt con cielo poco o parzialmente nuvoloso (copertura del cielo non oltre i 4/8) e visibilità di almeno 5 km. ma tutto ciò poteva essere preso in esame solo alla vigilia dell’operazione, il giorno “D”. se si fosse mancato questo stretto intervallo temporale si sarebbe dovuto rimandare l’invasione di un paio di settimane.

In quei giorni il colonnello Stagg, un meteorologo scozzese in forza alla RAF sentenziò: “Soltanto gli indovini possono prevedere che tempo farà con una settimana di anticipo, io no

(da allora la situazione è cambiata di poco: ora si può dare il tempo più probabile…alcuni però fanno i maghi diffondendo previsioni mensili se non stagionali, facendo credere che siano certezze e non variazioni probabili della media di alcuni parametri.)

la decisione di rinviare l’invasione di 24 ore fu presa da Ike e dal comando supremo alleato alle 04.30 di domenica 4 giugno. il generale era perfettamente cosciente dell’importanza delle condizioni meteorologiche per la buona riuscita di un’operazione militare, tanto che già da tempo aveva fatto istituire un apposito Ufficio Meteorologico al servizio delle Forze Armate. Il previsore che suggerì il temporaneo rinvio dell’operazione militare non arrivò facilmente a tale decisione e chissà che pressioni avrà subito dai suoi superiori! Ike ricevette l’avviso meteo dal gruppo del colonello Stagg che coordinava le previsioni emesse da tre squadre di previsori: uno dal British Met Office, uno dall’Ammiragliato e l’altro dall’Aeronautica Militare degli USA. Tali previsioni erano spesso contrastanti tra loro se non diametralmente opposte (come capita ancora oggi, purtroppo). Gli americani usavano il metodo della similitudine: si andava a confrontare il tempo presente con casi analoghi che si erano presentati nel passato e che erano stati, a loro volta, catalogati in diverse classi e in base a quanto accaduto, si prevedeva quello che sarebbe successo. Tale metodo, oltre a suscitare perplessità da parte degli altri meteorologici, in più di un’occasione non si dimostrò molto attendibile. Al Met Office, supportati anche dal brillante teorico svedese Sverre Petterssen, avevano invece un approccio più dinamico con l’osservazione dei venti e delle temperature anche ad alta quota riportate dall’USAF e dalla RAFe quindi la previsioni risultava più aderente alla realtà. a questa schiera di meteorologi già un anno prima fu chiesto di prevedere un periodo di almeno 6 giorni che avessero le caratteristiche descritte e, statisticamente, i periodi erano quelli che combaciavano con gli altri fattori mareali e di luce necessari.

Gli ultimi giorni di maggio furono caratterizzati da un tempo primaverile, ma proprio il 31 cominciò a delinearsi una situazione che preoccupava i meteorologi: una massa d’aria artica si stava dirigendo verso il mare del Nord e la Francia settentrionale, con conseguente tempo perturbato.

si ricorda un aneddoto: l’ammiraglio Ramsay, sentendo annunciare l’imminenza di venti forti e cieli plumbei, uscì all’aperto e constatato che il vento era moderato e il cielo sì, grigio, ma non temporalesco, borbottò: “ma si può sapere quando verranno tutte queste disgrazie che lei dice?” – rispose Stagg – “Alle 8 o alle 9, signore, ossia tra 4 o 5 ore” e così fu! Intanto si fecero imbarcare le truppe. Il 3 giugno, quello prima della decisione, Stagg si presentò al Q.G. a Southwick house confermando il deciso peggioramento. Ma bisognava prendere la decisione di far salpare o meno le navi piene di soldati imbarcati a iniziare da quelle ormeggiate più lontane. La stessa decisione doveva essere presa per le corazzate e gli incrociatori all’ancora a Scapa Flow e a Belfast. La sera del 3 giugno ci fu un aggiornamento, ma con dati sempre peggiori. La tempesta si stava scatenando sulla Manica e non c’erano segnali di miglioramento. Contemporaneamente sulle coste della Normandia si era formata una fitta nebbia e pioggia e, a largo, venti sostenuti. Si doveva rimandare la missione “Overload”, ma Eisenhower prese tempo e, speranzoso, indisse una nuova riunione alle 4.15del mattino seguente. Stagg non portò notizie confortanti a parte la possibilità di un temporaneo miglioramento tra la notte del 5 e il 6 giugno. Nel frattempo bisognava far tornare indietro le prime navi che già erano in vista delle coste francesi, e già questo risultava complicato con lo stato del mare presente. Fra i vari capi di Stato Maggiore ci furono delle vivaci discussioni ta chi voleva rimandare tutta l’operazione, non fidandosi delle previsioni meteorologiche, e chi voleva agire subito sfruttando l’inatteso miglioramento. ma era Ike che doveva prendere la decisione finale! sentito nuovamente in privato Stagg, Ike diede l’ordine di sbarco. Si poteva contare su un periodo di tempo relativamente buono per poco più di 24 ore, tuttavia al di sotto dei requisiti minimi richiesti. Tale temporaneo miglioramento era determinato dall’estensione di un promontorio legato all’anticiclone delle Azzorre. Il tempo perturbato precedente, tuttavia, aveva dato un vantaggio agli alleati: quello di mettere apparentemente al sicuro i tedeschi da un attacco a sorpresa. I germanici già non avevano alcuna certezza su dove e quando sarebbe avvenuta l’invasione, anche se la maggior parte di loro pensava che sarebbe stato Calais il posto più idoneo per lo sbarco, in quanto più vicino all’Inghilterra e in quell’area avevano concentrato gran parte delle loro forza. Adolf Hitler sapeva che un’invasione alleata su larga scala della Francia avrebbe modificato le sorti della guerra. Per questo intensificò la costruzione in Francia di una rete di 2.400 miglia di bunker, fortini, mine e ostacoli allo sbarco. Il programma però andava oltre le possibilità fisiche ed economiche tedesche, anche perché Hitler voleva che 15mila punti di forza fossero presidiati da 300mila soldati. Al posto di una linea di difesa continua, i nazisti si concentrarono così sui porti consolidati. In particolare Calais, dove gli occupanti installarono tre enormi batterie di cannoni, lasciando più scoperte le postazioni costiere in Normandia. Un altro fattore che contribuì al successo alleato, riguarda il fatto che Hitler non assecondò i propositi del suo feldmaresciallo, Erwin Rommel, il quale, non fidandosi della soluzione più ovvia, voleva schierare le divisioni corazzate Panzer proprio dove sarebbe avvenuto lo sbarco. Non da ultimo, grande fu il merito delle azioni di depistaggio operate dagli alleati con l’operazione FORTITUDE, che tentava di raggirare l’alto comando tedesco facendogli credere che gli sbarchi avrebbero avuto luogo nei pressi di Calais, piuttosto che sulle spiagge della Normandia. Gli alleati crearono un intero esercito finto, il FUSAG (First United States Armed Group), con la sola eccezione del comandante, il già famoso generale George Patton, di alcune unità token (cioè rappresentate da un minimo numero di personale) e dell’intera sezione di trasmissioni che generava un fittizio traffico di comunicazioni radio tra unità inesistenti. Venti divisioni, due corpi d’armata, una divisione corazzata, cinque divisioni aviotrasportate e quattordici divisioni di fanteria, vennero fatte credere operative, supportate da carri armati gonfiabili, mezzi da sbarco gonfiabili, cannoni antiaerei e aerei leggeri da osservazione anch’essi gonfiabili. Tuttavia i tedeschi erano consci che la chiave di un possibile anticipo dell’invasione sarebbe stata dovuta a una buona previsione del tempo. Ma fino all’estate del ’44, i previsori tedeschi dislocati in Francia avevano carenze di informazioni utili per una buona previsione per la mancanza delle osservazioni sull’Atlantico, visto che la loro flotta degli U-Boat si era ridotta considerevolmente e che la Luftwaffe aveva perso il dominio dei cieli a favore della RAF. Di conseguenza i previsori tedeschi non poterono individuare i lievi cambiamenti che avrebbero portato a un temporaneo miglioramento a partire dalla serata di lunedì.

il gen. Patton e un “tank” finto

il feldmaresciallo Erwin Rommel, che aveva il comando delle forze tedesche poste a difesa lungo le spiagge francesi, identificò il periodo 5-7 giugno come ad alto rischio per un possibile sbarco alleato, vista appunto la combinazione ottimale dello stato mareale e della luce lunare. Tuttavia non credeva che gli alleati rischiassero un’invasione senza avere la garanzia di più giorni di tempo accettabile. Rassicurato dai suoi previsori della mancanza di questa condizione necessaria, con il peggioramento che sarebbe iniziato il 5 giugno e che sarebbe durato almeno 3 giorni, Rommel lasciò la Francia e partì alla volta di Berlino dove sperava di convincere Hitler ad assegnarli il comando delle forze di riserva dei panzer dislocati nei Paesi Bassi e in Belgio. Anche la marina tedesca abbassò la guardia, non pattugliando più il Canale appena iniziò il cattivo tempo. Solo alle 4 di mattina di martedì 6 giugno, quando ormai la flotta d’invasione alleata, forse la più formidabile armata di tutti i tempi (4126 navi da trasporto, scortate da 702 navi da guerra, protette da 13000 aerei) aveva attraversato la manica e si era ancorata a 15 km dalla costa per un fronte di 100 km circa, le motovedette germaniche ripresero il mare, ma era già troppo tardi.

Il tempo del 6 giugno era accettabile, ma non ideale: venti ancora forti spostarono le truppe paracadutate lontano dall’obiettivo prefissato e alcune unità caddero direttamente in mare dove affogarono, soprattutto per il peso dell’equipaggiamento. Infatti i paracadutisti avevano un equipaggiamento di oltre 40 kg di peso e tutti avevano legata a una gamba una borsa di 25 kg che conteneva materiale per segnalare le zone di atterraggio ai compagni della 6^ Divisione alianti. Onde ancora alte si abbattevano lungo la costa di azione e furono la causa della perdita sia di mezzi che di uomini e tutta l’artiglieria pesante fu persa sulla spiaggia di Omaha, uno dei punti di sbarco, dove peraltro gli alleati, americani in particolare, ebbero le loro perdite più ingenti. Inoltre alcuni uomini erano imbarcati da 3 giorni e dovettero affrontare lo sbarco già stremati, principalmente per il mal di mare sofferto a causa delle condizioni del mare. Alla fine del primo giorno le perdite per gli alleati furono circa di 12.000 uomini (tra morti, feriti e dispersi).

bisogna sottolineare che per il nord Europa quella fu una delle peggiori tempeste registrate per quel periodo (inizio Giugno) e anche alcuni giorni dopo lo sbarco, un’altra tempesta distrusse uno dei porti “artificiali” che erano stati costruiti per lo sbarco di mezzi e materiali logistici, causando perdite 4 volte superiori a quelle avutesi durante lo sbarco. Due settimane dopo, ovvero nel secondo periodo individuato utile per lo sbarco, fu caratterizzato da una tempesta ancora più intensa e ciò spinse Eisenhower a inviare a Stagg una lettera con su scritto: ” …ringrazio il dio della guerra che ci ha fatto andare quando dovevamo..”. La corretta previsioni per il D-DAY fu un punto cruciale per il successo dello sbarco e dell’invasione del continente europeo che, se fosse fallito, non si sarebbe potuto ripetere per almeno un altro anno!


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