La pasta è l’alimento principe per la maggior parte degli italiani, forse quello che meglio identifica l’italianità nel mondo. Molti ritengono che l’origine sia cinese, ma in realtà la storia della pasta ha inizio da tempi più remoti, risalenti, come qualcuno afferma, a circa 7000 anni fa, ovvero quando l’uomo iniziò ad abbandonare la vita nomade e diventò agricoltore. Con la raccolta del grano ha inizio la storia della pasta, grano che, di generazione in generazione, l’uomo ha imparato a lavorare sempre meglio, macinandolo, impastandolo con acqua e poi spiandolo e cuocendolo su pietre roventi (abbiamo visto in un altro articolo che questa è stata pure l’origine della pizza). Si hanno testimonianze che già gli antichi Greci e gli Etruschi erano usi alla produzione e al consumo dei primi tipi di pasta, che certamente non erano gli spaghetti (poi vedremo il perché). La parola greca leganon era usata per indicare una grande sfoglia di pasta tagliata poi a strisce. Anche nell’impero romano ritroviamo il leganum, sfoglie di pasta che conquistarono il gusto del popolo.
Sembra poi che furono gli Arabi del deserto a essiccare per primi le paste per una maggiore conservazione, anche perché nei loro viaggi non avevano acqua a sufficienza per produrre ogni giorno la pasta fresca. Furono loro gli autori dei primi “maccheroni”, cilindretti di pasta di pasta forati nel mezzo per una rapida essiccazione.
Palermo è storicamente la prima vera capitale della pasta in quanto le prime testimonianze storiche di produzione di pasta secca a livello artigianale-industriale si riferiscono all’XI secolo in Sicilia, regione, allora, profondamente influenzata dalla cultura araba, E nel primo libro di cucina araba, Ibran’al Mibrad già descrive diversi formati di pasta. Intorno al 1154 d.C., ci sono scritti che riportano che a Trabia, località vicino Palermo: “si fabbrica pasta in forma di fili, detta triyan, e che si esporta in varie parti dell’impero musulmano e nel resto d’Italia.
Altra regione divenuta famosa qualche secolo dopo (XIII sec) per la produzione e il commercio della pasta secca, è la Liguria, probabilmente risentendo dell’influenza Sicilia a seguito dei contatti commerciali. Invece la cultura della pasta secca non risulta essere presente in gran parte del Centro-Nord d’Italia, più legato all’uso domestico della pasta fresca. Sorge a Genova, nel 1574, la Corporazione dei pastai, con un proprio Statuto. Mentre nel 1577, si registra a Savona la costituzione della “Regolazione dell’Arte dei Fidelari” (col termine fidei si indica “pasta”nel dialetto locale. Seguono quella dei “Vermicellari” a Napoli nel 1579 e a Palermo nel 1605).
Nel 1890 si contano 222 fabbriche di pasta nella sola provincia di Genova e 148 tra Savona e Imperia. Ma poi lo scettro passa a Napoli. E pensare che nel ‘500 i napoletani vengono chiamati come “mangiafoglie” per l’alimentazione basata principalmente su verdure (cavoli in primis), pane e carne. Sarà solo nel ‘700 che l’epiteto di “mangiamaccheroni” dai siciliani passa ai napoletani, una diffusione popolare dell’alimento, quindi, che prima, nel sud Italia, era invece riservato ai più ricchi, essendo considerata la pasta uno sfizio, un lusso. E così l’accoppiata pasta-formaggio prende il posto del tradizionale binomio cavolo-carne. Una soluzione nutrizionale ideale visto che il formaggio apporta proteine e grassi che mancano ai cereali che invece sono ricchi di carboidrati ovvero di zucchero. Ciò impedisce il fenomeno della denutrizione, piaga dell’epoca in gran parte d’Europa anche per l’esplosione demografica in atto, come accadeva al nord Italia, con alimentazione principale a base di mais (polenta) o in Irlanda con le patate.
E quindi proprio a Napoli che prende il via la “seconda” introduzione della pasta nella cultura alimentare italiana e nel consumo popolare. La pasta la si può comprare già pronta nei chioschi lungo le strade e la si mangia con le mani, senza condimento o con il formaggio (da qui l’espressione “come il cacio sui maccheroni”). Solo nell’800 viene introdotto il pomodoro (ricordiamo che, come già scritto nell’articolo sulla storia della pizza, che il pomodoro venne introdotto dalle Americhe solo nel 1500e all’inizio venne accolto con diffidenza perché considerato velenoso). E sarà a Napoli che si perfeziona la tecnica di produzione e della perfetta essiccazione della pasta in modo da evitare la naturale fermentazione che l’avrebbe resa rancida.
E in questo processo giocano un ruolo determinante le condizioni atmosferiche: serve un sito ventilato, non umido e assolato, un posto in cui i cambiamenti dal tempo umido a quello asciutto fossero rapidi e frequenti. E l’area tra Gragnano e Torre Annunziata era quella che maggiormente rispecchiava tali peculiarità.
L’industrializzazione della pasta lungo la costa napoletana è imponente a partire da metà ‘800. Fino ad allora si usavano mulini, e macine e le semole venivano separate dalle crusche mediante un sapiente lavoro manuale di setaccio. Nel 1878 venne introdotta una macchina che migliorava e velocizzava la produzione: la semolatrice, nota come “marsigliese” in quanto inventata nella città francese. Da allora ci fu una continua meccanizzazione e modernizzazione della produzione che inevitabilmente, già dai primi anni del ‘900, rendeva sempre meno vincolante le caratteristiche meteorologiche del luogo di produzione e ancor meno dopo lo sviluppo di un sistema termodinamico per l’essiccamento artificiale della pasta, macchina inventata da un tecnico del nord Italia, tal Garbuio. Poi nel 1933, con l’introduzione della pressa meccanica continua si ha una quasi completa meccanizzazione della produzione: entra semola nella macchina ed esce la pasta pronta per essere essiccata. Rimane ancora manuale l’operazione di carico/scarico della pasta sulle sui telai dell’essiccazione, con tempi ancora lunghi (oltre le 24 ore) e con temperature che non dovevano superare i 40°C. Fu dopo il secondo dopoguerra (fine anni ’50) che i due processi vennero unificati in maniera automatizzata.
Come dicevamo all’inizio, la prima pasta veniva fatta a mano e per questo la sola forma possibile era il tipo tagliatella-fettuccina, in quanto l’impasto veniva spianato e ridotto in sottile sfoglie poi tagliate a striscioline più o meno larghe. Lo spaghetto, come le altre 300 forme di pasta, è figlio della macchina e per ogni forma c’è un condimento ideale. Oggi la pasta è l’alimento italiano più diffuso nel mondo e il 25 ottobre si celebra la Giornata Mondiale della Pasta, il Pasta Day, celebrato appunto in tutto il mondo! A oggi l’Italia mantiene ancora il ruolo di leader assoluto del settore di produzione (prima nella classifica con 3,6 Mton nel 2022), ma siamo anche il Paese che ne consuma di più (si calcola 23kg pro-capite/anno). L’evento nacque nel 1988 con il 1° congresso internazionale tenutosi a Roma.
E il mito della Cina e di Marco Polo? E’ stata una stupida attività di marketing del 1929 ad opera del “Macaroni Journal”, la rivista dell’Associazione americana di produttori di pasta che attribuì ai cinesi l’invenzione dei 2lunghi fili di pasta”. Sarebbe poi stato un marinaio di Marco Polo, con l’improbabile cognome di Spaghetti a rubare la ricetta che poi il viaggiatore veneziano avrebbe diffuso in Italia. Ne “il Milione” si descrivono le meraviglie dei Paesi lontani, ma in tutti i manoscritti di tale opera non è presenta alcuna notizia di “spaghetti”, mentre si parla della farina di sago estratto da una particolare specie di palma che gli abitanti di Sumatra utilizzano per fare lasagne e altri tipi di pasta. Un equivoco nasce due secoli dopo, quando il diplomatico, geografo e umanista della Repubblica di Venezia Giovanni Battista Ramusio, pubblicando le memorie di viaggio di Marco Polo, fraintende e manipola il testo e attribuisce l’informazione sulla pasta di sago, di cui aveva portato un campione nella Serenissima, alla pasta in genere, facendo credere che l’ambasciatore alla corte del Gran Khan Kubilai ne avesse scoperto il segreto nella terra di Confucio. Tuttavia in Cina si trovano testimonianze risalenti già al II-III sec. d.C di una sorta di pasta allungata, di spaghetti, fatti con la soia o il farro invece che col grano duro, una creazione ed evoluzione differente da quella mediterranea.
VALORI NUTRIZIONALI
Mediamente, 100gr di pasta apportano circa 370 cal. e di queste 82,9% sono fornite dai carboidrati, il 13,7% dalle proteine e il 3,4% dai grassi. I nutrienti principali per 100 gr di pasta sono:
acqua: 9,9 gr
proteine: 13,04 gr
grassi: 1,51 gr
carboidrati: 74,67 gr
fibre: 3,2 gr
ha vari minerali, in particolare il magnesio (53mg), il selenio (63,2), il fosforo (189 mg) ma, soprattutto, il potassio (223mg)
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